Il vero fascismo non è prendere a manganellate chi la pensa diversamente. Il vero fascismo è la normanità dell'odio; tanto normale da non sembrare nemmeno più odio ma solo un'opinione come un'altra. In questo l'Italia è rimasta un paese fascista.


sabato 16 luglio 2011

La femme d'argent



Una prefazione che inizia con : “Non è rimasto nessun diario, non si sono trovate lettere che possano aiutarci a conoscere meglio questo spirito inafferrabile” non è certo il miglior viatico per stimolare la lettura di un libro ma la malia che da un paio d’anni esercita su di me la figura di questa donna fuori come un balcone non mi ha fatto tenere conto del velato monito e ho proseguito nella lettura della biografia scritta a quattro mani da Scot D.Ryersson e Michael Orlando Yaccarino intitolata “Infinita varietà (Vita e leggenda della Marchesa Casati)” e pubblicata dall’editore Corbaccio.

Ai due autori va almeno riconosciuto il merito di avere pazientemente scandagliato ogni libro e biografia (perfino quella di un parrucchiere, sic!) in cui viene citata la marchesa e avere assemblato una sorta di Bignami su questo stravagante personaggio che imperversò con i suoi balli faraonici nei primi trent’anni del ‘900.
Purtroppo la scarsità di fonti dirette riduce il libro a una lunga serie di “non è certo improbabile che …”, “anche se non ci sono prove che …”, “non esiste prova anche se è stato detto che …”, “non ci è dato conoscere ma …”, “stando ai pettegolezzi di …”, “se sia vero o no non è mai stato provato che …” più degna di un servizio estivo di “Chi” che di una biografia.

A farmi nascere questa curiosità verso Luisa Casati nata Amman (1881-1957) è stato il suo ritratto, dipinto nel 1908 dal pittore ferrarese Giovanni Boldini, in cui è vestita di nero e viola insieme a uno dei suoi levrieri.

L’impressione che, comunque, si ricava dalla lettura delle 280 pagine del libro è quella di una donna dotata di grande fascino e di una bellezza non canonica ma capricciosa, al limite della prepotenza (l’episodio dell’occupazione abusiva della villa caprese di Axel Munthe ha dell’incredibile), tutto sommato poco serena alla quale la smisurata ricchezza ha fatto più male che bene; vittima della propria eccentricità che “è tollerabile soltanto all’inizio. Protratta a lungo, diventa insopportabilmente penosa nonché inquietante”, citando lo scrittore francese Maurice Druon.
A dimostrazione di quanto Luisa Casati fosse avulsa da qualsiasi cosa che non fosse il proprio ego c’è l’episodio di quando a Parigi diede di matto nella hall dell’Hotel Ritz perché nessuno rispondeva alle sue scampanellate e le serviva la colazione in camera: era appena scoppiata la Prima Guerra Mondiale.

Leggere dei suoi fantasiosi abiti mi ha subito fatto venire in mente “La femme d’argent” degli Air.

Aloha.

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