Il vero fascismo non è prendere a manganellate chi la pensa diversamente. Il vero fascismo è la normanità dell'odio; tanto normale da non sembrare nemmeno più odio ma solo un'opinione come un'altra. In questo l'Italia è rimasta un paese fascista.


domenica 24 luglio 2011

Bye, bye Amy

Amy Jade Winehouse
(Londra, 14 settembre 1983 - Londra, 23 luglio 2011)

r.i.p.

venerdì 22 luglio 2011

Joan As Policewoman @ Villa Arconati, Bollate



Per la seconda volta in due anni Joan Wasser si è esibita nella suggestiva e decadente cornice di Villa Arconati in quel di Castellazzo di Bollate.
Purtroppo anche questa volta la grintosa musicista del Maine, ma newyorkese d’adozione, ha dovuto fare da spalla a un altro artista: nel 2009 alla overrated e insulsa Regina Spektor, quest’anno a Lyle Lovett, spacciatore texano di country da supermercato (le numerose defezioni del pubblico durante la sua esibizione mi hanno riempito di perversa soddisfazione).

Sorridente e inguainata in una tuta argento che riproduce le squame di un serpente, Joan si è presentata puntuale sul palco insieme al fido Parker Kindred ai tamburi e Tyler Wood al moog bass e tastiere.
Purtroppo la stringata ora di concerto (non ci sarà nemmeno un bis) le ha consentito di eseguire solo parzialmente il suo abituale repertorio ma la sempiterna “Save me” (che da sola vale sempre il prezzo del biglietto) non è mancata come non sono mancate “Flash”, eseguita in una versione particolarmente onirica e con sperimentazioni vocali mai ascoltate, la funkeggiante “The Magic”, l’oscura e sulfurea “Run for love” che avrebbe fatto inorgoglire anche Isaac Hayes, la raffinata “Kiss the specifics” e la rilassata “Human condition”.

Concerto minimale e d’atmosfera molto space-oriented con marcate influenze funk psichedeliche (Funkadelic) completato dalla grande capacità d’interazione con il pubblico e dall’innata simpatia.
Ho visto Joan parecchie volte in concerto e non l’ho mai sentita eseguire due volte lo stesso brano con lo stesso arrangiamento, il paragone potrà sembrare azzardato ma mi ha ricordato Bob Dylan.
Mi piacerebbe che il prossimo tour la vedesse sul palco con una formazione un po’ più corposa: un contrabbasso e un sassofono sarebbero perfetti.

La mia gamba destra immobilizzata purtroppo non mi permetterà di poter assistere al concerto di martedì prossimo a Sestri Levante, dove festeggerà il suo compleanno sul palco…

Aloha.

sabato 16 luglio 2011

La femme d'argent



Una prefazione che inizia con : “Non è rimasto nessun diario, non si sono trovate lettere che possano aiutarci a conoscere meglio questo spirito inafferrabile” non è certo il miglior viatico per stimolare la lettura di un libro ma la malia che da un paio d’anni esercita su di me la figura di questa donna fuori come un balcone non mi ha fatto tenere conto del velato monito e ho proseguito nella lettura della biografia scritta a quattro mani da Scot D.Ryersson e Michael Orlando Yaccarino intitolata “Infinita varietà (Vita e leggenda della Marchesa Casati)” e pubblicata dall’editore Corbaccio.

Ai due autori va almeno riconosciuto il merito di avere pazientemente scandagliato ogni libro e biografia (perfino quella di un parrucchiere, sic!) in cui viene citata la marchesa e avere assemblato una sorta di Bignami su questo stravagante personaggio che imperversò con i suoi balli faraonici nei primi trent’anni del ‘900.
Purtroppo la scarsità di fonti dirette riduce il libro a una lunga serie di “non è certo improbabile che …”, “anche se non ci sono prove che …”, “non esiste prova anche se è stato detto che …”, “non ci è dato conoscere ma …”, “stando ai pettegolezzi di …”, “se sia vero o no non è mai stato provato che …” più degna di un servizio estivo di “Chi” che di una biografia.

A farmi nascere questa curiosità verso Luisa Casati nata Amman (1881-1957) è stato il suo ritratto, dipinto nel 1908 dal pittore ferrarese Giovanni Boldini, in cui è vestita di nero e viola insieme a uno dei suoi levrieri.

L’impressione che, comunque, si ricava dalla lettura delle 280 pagine del libro è quella di una donna dotata di grande fascino e di una bellezza non canonica ma capricciosa, al limite della prepotenza (l’episodio dell’occupazione abusiva della villa caprese di Axel Munthe ha dell’incredibile), tutto sommato poco serena alla quale la smisurata ricchezza ha fatto più male che bene; vittima della propria eccentricità che “è tollerabile soltanto all’inizio. Protratta a lungo, diventa insopportabilmente penosa nonché inquietante”, citando lo scrittore francese Maurice Druon.
A dimostrazione di quanto Luisa Casati fosse avulsa da qualsiasi cosa che non fosse il proprio ego c’è l’episodio di quando a Parigi diede di matto nella hall dell’Hotel Ritz perché nessuno rispondeva alle sue scampanellate e le serviva la colazione in camera: era appena scoppiata la Prima Guerra Mondiale.

Leggere dei suoi fantasiosi abiti mi ha subito fatto venire in mente “La femme d’argent” degli Air.

Aloha.

sabato 9 luglio 2011

Lou Reed @ Arena Civica, Milano



Ho visto Lou Reed in concerto una sola volta, era il 15 febbraio 1975 al Palalido.
Vestito di nero, biondissimo e drogatissimo ebbe solo il tempo di eseguire “Sweet Jane” poi una trentina di stronzi sommersero il palco di sanpietrini e bottiglie.
In Italia non venne a suonare più nessuno per alcuni anni.

Capisco che dopo 45 anni di attività possa venire a noia eseguire sempre gli stessi brani ma eliminare dal proprio repertorio “Walk on the wildside”, “Vicious”, “I’m waiting for the man”, “Heroin”, solo per citare le prime quattro canzoni che mi vengono in mente e che sono i pezzi che lo hanno reso famoso, è stata una scelta veramente infelice.
Un po’ come se Patti Smith non eseguisse più in concerto “Because the night”, “People have the power”, “Gloria”… o gli Stones decidessero di non proporre più “(I can’t get no) Satisfaction”, “Brown sugar”, “Sympathy for the devil”…

Il concerto si è trascinato tra alti e bassi, pochi i primi di più i secondi.
Dall’imbarazzante esordio con la velvetiana “Who loves the sun” a un’eccellente versione di “Ecstasy”, da una vibrante “Femme fatale” alla caotica “The bells” per finire con un’altrettanto imbarazzante esecuzione di “Pale blue eyes” che ha chiuso un concerto che è andato a spegnersi come una candelina canzone dopo canzone.
Vocalmente sotto tono, Reed è apparso come una persona sofferente, svogliata e con evidenti problemi di deambulazione ma che da professionista ha onorato alla meglio l’impegno preso.
La band, tra cui gli ottimi Tony “Thunder” Smith dietro ai tamburi a dirigere le operazioni, Sarth Calhoun a tessere i tappeti sonori e Tony Diodore alla chitarra ma soprattutto al violino, ha eseguito il compitino senza sbavature.
Il pubblico, numerosissimo, ha però gradito l’esibizione, a Lou Reed si può perdonare questo e altro.

Aloha.

venerdì 8 luglio 2011

Io sono il fottuto principe delle tenebre!


“Ehi, io sono il fottuto principe delle tenebre!”. Quando, tra il serio e il faceto e con la sua inconfondibile aria scoglionata, gliel’ho sentito esclamare diretto a un amico della figlia durante una puntata del suo reality ho iniziato a ridere come un pazzo e mi si è aperto un mondo.
Confesso di avere sempre considerato Ozzy Osbourne un coglionazzo mezzo ritardato ma, tra il reality e questa biografia, mi sono fortunatamente ricreduto anche se musicalmente continua a non essere la mia cup of tea preferita.

Studente sotto la mediocrità (ma i problemi di dislessia e di mancanza di capacità di concentrazione non se li è mica scelti lui), ladro più che maldestro (l’episodio del furto di un televisore è degno de “I soliti ignoti”), accordatore di clacson (una professione a me sconosciuta fino alla lettura del libro), assassino di mucche in un mattatoio e altre modeste attività, Ozzy è però sempre stato determinato a diventare il cantante di una rock band e per fortuna ci è riuscito.

Ozzy parla della sua squinternata vita da rock star con leggerezza, quasi con candore ma la cosa lascia il dubbio che il nostro ci marci anche un po’.
Alcuni degli aneddoti sono però veramente esilaranti come quello di quando gli era presa la mania di rasare le sopraciglia ai suoi ospiti mentre dormivano o quello del prete che lo andò a trovare a casa e si vide offrire una torta al hashish che lo cappottò per una settimana e gli fece credere che i marziani volevano organizzare una tombola nella sua parrocchia.
Ma la più folle di tutte fu quando, insieme all’anello di fidanzamento, rifilò alla futura moglie, quella santa donna di Sharon, un mazzo di fiori rubato in un cimitero con tanto di biglietto “In memoria del nostro amato Harry”. Rimediò un occhio nero e l’anello frullato fuori dalla finestra!
Il principe delle tenebre sa però essere anche toccante come quando racconta la tragedia aerea che vide coinvolto lui e tutto lo staff e in cui morirono il suo chitarrista Randy Rhoads, al quale è dedicato il libro, e la sua costumista.

“Io sono Ozzy” è corredato anche da una corposa parte iconografica con foto di scena ma anche con scatti presi in famiglia.

Tutto sommato un’autobiografia piacevole in cui Ozzy si racconta, con molta ironia, per quello che è: un buon diavolo con una tempra eccezionale che gli ha permesso di sopravvivere a decenni di devasto e raccontarci la sua vita di rock star sempre sull’orlo del baratro.

Aloha.

domenica 3 luglio 2011

Boldini e la Belle Epoque @ Villa Olmo, Como


Mi tolgo subito il sassolino dalla scarpa ed esordisco con quello che di questa esposizione, visitata ieri, mi ha deluso: non c’era esposto nemmeno un ritratto della Marchesa Luisa Casati.

Passiamo ora agli aspetti positivi che mi hanno dato piacere e gioia, in primis la location: Villa Olmo, residenza estiva dei marchesi Odescalchi realizzata, nel 1797, in stile neoclassico dall’architetto ticinese Simone Cantoni sulla riva ovest del lago di Como.
Sale, salotti, salottini, boudoir, il grande salone delle feste con tanto di balconata e addirittura un piccolo teatro con un centinaio di posti (all’epoca non c’era il cinema e i poveri marchesi s’arrangiavano come potevano …), perfettamente tenuti in tutta la loro opulenza fatta di stucchi, dorature, statue, affreschi, sono la perfetta cornice per le altrettanto seducenti opere di Giovanni Boldini e di alcuni suoi contemporanei italiani che hanno immortalato con le loro pennellate la Parigi, ma soprattutto le donne, della Belle Epoque.

Non ho le competenze per descrive da un punto di vista tecnico i quadri che ho visto, e anche se le avessi troverei la cosa di una noia mortale, mi limiterò, quindi, a segnalare quelli che mi hanno più colpito, interessato e anche emozionato.
La conturbante “Treccia bionda” del 1891, lo splendido profilo di “Alaide Banti con l’ombrellino” del 1885, il malizioso e intimo “La toilette” del 1880, la fatale e glamorous “Mademoiselle de Nemidoff” del 1908, la spensierata e virginale “Emiliana Concha de Ossa” giovanissima cilena ritratta nel 1901, la sofisticatissima e glaciale "Miss Rita Philip Lyding" ritratta nel 1911, la testimonianza della sfiancante vita delle dame della borghesia parigina di “Dopo il ballo” del 1884 e per finire la diafana e sensuale schiena de “La cantante mondana” effigiata nel proprio studio nel 1884.
Degli altri pittori presenti mi sono piaciute molto la semplicità della bellezza della “Fanciulla con fascio di fiori” del 1909 a opera di Federico Zandomeneghi e la modernità di “Sul molo di Venezia” dipinto da Ettore Tito nel 1900.

E dopo aver nutrito lo spirito non potevo certo trascurare il mio palato che è stato deliziato da un semplice ma sublime riso con pesce persico in quel di Varenna, giusto sull’altra sponda del lago.

Aloha.

venerdì 1 luglio 2011

Salute e industrial...


Soffro di claustrofobia e oggi ho fatto una risonanza magnetica alla schiena e al collo, è stata la prima e spero anche l’ultima.

Per 15 minuti sono rimasto infilato in un tubo dove, con il collo bloccato da un marchingegno che ricordava quelli che ti inchiodano al sedile dell’ottovolante, sono stato assordato da ogni tipo di clangore che mi sembrava di essere da Second Layer a Londra. A un certo punto si era creato un loop infernale che sembrava di avere i  Suicide che mi martellavano nelle orecchie “Rocket U.S.A.”

Ero sudato come un’anguria e avrei confessato anche l’omicidio di Giulio Cesare pur di uscire da lì… che esperienza allucinante!

Aloha.