Il vero fascismo non è prendere a manganellate chi la pensa diversamente. Il vero fascismo è la normanità dell'odio; tanto normale da non sembrare nemmeno più odio ma solo un'opinione come un'altra. In questo l'Italia è rimasta un paese fascista.


martedì 17 aprile 2012

Joao Donato - DonatoDeodato


“Ci sono alcuni album dal catalogo Muse che hanno una bizzarra schiera di cultori. Questo è uno di quelli. Abbiamo sempre ricevuto telefonate, lettere ed e-mail nelle quali ci chiedevano, quasi mendicando, la sua pubblicazione. Ad essere onesti, Joao Donato non era tra le nostre priorità. Ci sono dozzine di titoli Muse che avrei voluto pubblicare prima di titoli così particolari”. Joel Dorn (Curatore della 32jazz).

Tutto cominciò in una chiesa di Washington D.C. nel 1963, sotto l’egida del lungimirante produttore Creed Taylor, quando Stan Getz e Charlie Byrd diedero vita a quel capolavoro che porta il titolo di “Desafinado”.
L’interesse delle case discografiche statunitensi verso la bossa nova ed il successo che ne conseguì stimolarono alcuni dei migliori musicisti brasiliani ad andare negli Stati Uniti dove le probabilità di successo e di guadagno erano ben maggiori.
Della prima “Brazilian invasion” facevano parte, oltre a Donato, anche musicisti del calibro di Baden Powell (chitarrista e compositore che collaborò proficuamente con Vinicius De Moraes scrivendo a quattro mani alcune tra le più belle e famose canzoni brasiliane degli anni ’60: una su tutte “Samba de bençao”), di Sergio Mendes (specializzato nell’interpretare successi internazionali altrui da “Mas que nada” di Jorge Ben a “With a little help from my friends” di John Lennon e Paul McCartney, da “Night and day” di Cole Porter a “Girl from Ipanema” della premiata ditta Jobim/De Moraes) e di Dom Um Romao (batterista e percussionista che suonerà con i maggiori jazzisti e farà parte dei Weather Report di Joe Zawinul e Wayne Sorter).
Tutti furono accolti con molto entusiasmo dalla scena jazz statunitense ma i sontuosi contratti con le case discografiche non si concretizzavano ed anche le richieste per concerti scarseggiavano per cui molti talenti brasiliani pensarono di trattenersi negli States giusto il tempo di raggranellare un po’ di dollari e di tornarsene velocemente in Brasile.
Donato, in quegli anni, fu molto prolifico e dimostrò un talento fuori dal comune ma, purtroppo, non fu toccato dal successo commerciale. Nel 1965 fu uno degli artefici della bellissima “Agua de beber” insieme ad Astrud Gilberto ed Antonio Carlos Jobim con la produzione del tentacolare e diabolico Creed Taylor.
Anche Eumir Deodato partì alla volta di New York dove venne subito notato dall’onnipresente scopritore di talenti Creed Taylor, il quale lo mise immediatamente sotto contratto e gli fece registrare una versione jazz di “Also sprach Zarathustra” che sarebbe diventato un successo planetario.

Joao Donato ed Eumir Deodato si conobbero a New York  e decisero di dare vita ad un progetto insieme ma Donato aveva necessità di tornare velocemente in Brasile ed aveva un’impellente bisogno di soldi. Stabilirono quindi che Donato sarebbe entrato in studio di registrazione e avrebbe improvvisato, al resto avrebbe pensato Deodato. Joao scelse anche i musicisti, brasiliani e statunitensi, che avrebbero suonato in ogni singolo brano ma l’album porterà l’inconfondibile marchio di Deodato.
Il risultato finale fu un gustoso cocktail di ritmi brasiliani, jazz, musica latino-americana, funky ed una spruzzatina di rock.

Apre l’album “Whistle stop” la chitarra funky di Bob Rose ed il fischietto di Romeo Penque conducono la danza; il tappeto ritmico della batteria di Allan Schwartzberg e dalle percussioni di Ray Barretto e Airto Moreira è l’ideale per l’assolo di Donato.
“Where is J.D.?”, “Capricorn” e “You can go” sono tre ruffianissimi brani in puro stile “Hollywood party”. Sembra di vederli, i musicisti, impeccabili nei loro candidi smoking, suonare ai bordi della piscina della villa del grasso produttore cinematografico di turno che ha organizzato il party per presentare il suo nuovo, pessimo film e la starlette protagonista. Batteria, fiati, piano elettrico, ogni cosa è perfettamente al proprio posto.
“Nightripper” ci rimanda all’assolata estate californiana, ai saliscendi delle strade di San Francisco, alla fumante 44 Magnum dell’ispettore Callaghan. Bene in evidenza sono la chitarra di Bob Rose, la tromba di Randy Brecker, il trombone di Michael Gibson e l’armonica di Mauricio Einhorn che si intrecciano in sudati assolo.
Chiude l’album “Batuque”, il brano che più di ogni altro risente dell’influenza e degli arrangiamenti di Eumir Deodato: chitarra con wha-wha e delicato, quanto sincopato, assolo di piano elettrico.

L’unica pecca dell’edizione cd di “Donato/Deodato” è la nuova copertina: banale, che non riproduce quella del vinile dell’epoca ma ricorda solo due uova strapazzate.

Buon ascolto.

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